30 MAGGIO 2025
Professionisti, fisco e lavori non incassati
DOMENICO PORFIDO
Professionisti, fisco e lavori non incassati
DOMENICO PORFIDO
Negli ultimi tempi si è avuto modo di constatare come siano in corso, da parte dell’Agenzia delle Entrate, una serie di accertamenti a carico dei professionisti volti ad accertare l’effettivo incasso delle prestazioni ultimate, ma che non vedono emessa la relativa fatturazione.
Orbene, tali verifiche, possono determinare delle “brutte sorprese” per il soggetto sottoposto a controllo, in quanto sull’onda di un indirizzo della Suprema Corte, avviatosi intorno al 2021, affrontare con superficialità tale percorso, senza l’assistenza del proprio contabile e di professionisti adusi ad interloquire con l’Erario, potrebbe determinare danni non recuperabili neppure in sede di contenzioso.
In particolare, i controlli in atto tenderanno, principalmente, a riguardare i soggetti in regime “forfettario” con un ulteriore pericolo: quello che le risultanze della verifica possano comportare il superamento dei limiti di reddito previsti per l’anno d’imposta controllato per usufruire del regime di favore e recupero a tassazione sia dell’IVA che delle imposte personali progressive e non più fisse.
Venendo al merito della vicenda segnalata, occorre rilevare che i verbalizzanti di fronte a lavori definiti e che non presentano un incasso della somma dovuta, che sia essa concordata o meno, provvedono ad individuare il presunto corrispettivo spettante al professionista ed a considerare incassate le somme determinate per ciascun affare, recuperando l’importo a tassazione.
Ci si chiederà come possano procedere in tal senso non esistendo una fattura, non esistendo la prova del trasferimento delle somme e quanto altro possa ravvisarsi necessario per evidenziare un maggior reddito.
Il tutto prende le mosse dal ritenere che in caso di lavoro già definito ed in assenza di una sollecitazione al versamento della parcella, quale una diffida, una ingiunzione di pagamento, un pignoramento, debba ritenersi che l’inerzia dell’accertato costituisca una presunzione semplice, ex art. 2729 C.C., tale da autorizzare l’AdE a procedere ai sensi dell’art.39 comma 1 lett.d) del DPR n.600/1973, quindi ad un accertamento analitico – induttivo.
Tale condotta, come riferito, affonda le radici in due sentenze della Suprema Corte Sez. Tributaria, che lo scrivente non condivide affatto, in quanto presentano una serie di forzature giuridiche, ma, purtroppo, allo stato dettano la linea in materia.
Le due sentenze - la n.24255 del 09.09.2021 e la successiva28253 del 28.09.2022 – esprimono posizioni sovrapponibili e riconoscono alle situazioni citate il valore di presunzioni semplici e tali da rendere l’operato dei verbalizzanti legittimo e corretto. Tuttavia, nelle motivazioni possiamo trarre gli elementi per poterci difendere in casi simili, infatti le stesse ritengono che il professionista dinanzi a tali contestazioni ha il diritto-dovere di difendersi, in quanto una sua inerzia avvalorerebbe la tesi dell’Ufficio. Per cui, in casi simili, siamo chiamati a fornire la prova del mancato incasso delle somme che vengono ritenute, presuntivamente, acquisite. Vi chiederete come lo si può fare?
Esistono vari metodi per approcciare il problema che possono essere messi in atto in via preventiva, con le citate diffide ad adempiere, ovvero anche postumi sfruttando le nuove possibilità date dall’obbligo del contradditorio preventivo, producendo dichiarazioni dei clienti o quanto altro possa fornire elementi di prova atti a dare contezza che le somme contestate non sono mai entrate nella disponibilità del professionista.