19 FEBBRAIO 2025
Illegittimo il requisito di 10 anni per accedere al reddito di cittadinanza
DANIELE MARINUCCI
Illegittimo il requisito di 10 anni per accedere al reddito di cittadinanza
DANIELE MARINUCCI
Con il presente articolo, si vuole portare all’attenzione della collettività un argomento di assoluta attualità che, da alcuni mesi, sta tenendo banco nelle aule di moltissimi Tribunali nazionali, con cadenza ormai quotidiana, di rilevanza tale da raggiungere, da ultimo, lo scranno della Corte di Giustizia della Comunità Europea.
Si tratta della questione legata alla (presunta) indebita percezione del beneficio del reddito di cittadinanza per la (altrettanto presunta) violazione dell’art. 7 del D.L. 4/2019, il quale prevede la pena della reclusione da due a sei anni qualora si rendano dichiarazioni mendaci in sede di presentazione dell’istanza per l’accesso al beneficio economico.
In particolare, lo sguardo è rivolto al requisito di cui all’art. 2 co.1, a) 2) L 26/2019, il quale prevede che, per ottenere tale prestazione assistenziale, il richiedente deve essere residente nel territorio nazionale per almeno dieci anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo.
Tale questione è divenuta di particolare interesse nel momento in cui ci si è accorti che, in moltissimi casi, i richiedenti il beneficio dichiaravano, personalmente o a mezzo patronato, di essere in possesso di tale requisito ma, effettuati successivamente i debiti controlli, ne veniva spesso accertata la carenza.
Da qui hanno avuto origine centinaia di procedimenti penali e, nell’esaminare attentamente la norma incriminatrice, ci si è subito posti l’interrogativo circa la legittimità del requisito relativo alla residenza decennale.
Ebbene, come anticipato, la questione è recentemente giunta all’attenzione della Corte di Giustizia della Comunità Europea, la quale, nelle cause riunite C-112/22 CU e C-223/22, su rinvio del Tribunale di Napoli, ha sostenuto con forza che, esso requisito, costituisce una discriminazione indiretta nei confronti dei cittadini stranieri, poiché, seppure tale requisito si applica anche ai cittadini italiani, esso interessa principalmente quelli stranieri i quali, evidentemente, hanno un rapporto ed un legame con il territorio ben diverso e comprensibilmente meno radicato, e rappresenterebbe per essi uno sbarramento non giustificato (è indubbio che gli stranieri abbiano più difficoltà a maturare il requisito).
Peraltro, afferma la CGUE, detto requisito non appare conforme alla direttiva sui cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (Direttiva 2003/209/CE), direttiva in forza della quale si può ottenere lo status di soggiornante di lungo periodo comprovando un soggiorno legale e ininterrotto di cinque anni nel territorio di uno Stato membro.
In altre parole, il legislatore dell'Unione ha considerato tale periodo quinquennale sufficiente per avere diritto alla parità di trattamento con i cittadini di tale Stato membro, anche con riguardo all’accesso a misure di assistenza e protezione sociale. Uno Stato membro, dunque, non sarebbe legittimato a prorogare unilateralmente il periodo di soggiorno richiesto dalla direttiva affinché un cittadino di un paese terzo soggiornante di lungo periodo possa beneficiare di un qualsivoglia trattamento assistenziale, come l’accesso al reddito di cittadinanza. Ciò detto, la Corte conclude rilevando che è vietato sanzionare penalmente una falsa dichiarazione riguardante un requisito di residenza che viola il diritto dell'Unione, come quello di cui all’art. 2 co.1, a) 2) L 26/2019.
A questo punto, non resta che chiederci quali conseguenze abbia una sentenza di tal natura sull’ordinamento nazionale e sulla definizione di tutti i procedimenti in corso, diversi da quello per cui si è richiesto il rinvio pregiudiziale.
Ebbene, da un punto di vista normativo certamente essa non sancisce l’illegittimità della norma nazionale, né parimenti può avere effetti abrogativi, dovendo essere il legislatore nazionale e la Corte Costituzionale, eventualmente, ad adeguarsi a tale autorevole orientamento unionale.
E’, però, altrettanto vero che la decisione pregiudizievole della CGUE non ha effetti solo endoprocessuali, cioè vincolante per il solo Giudice del rinvio, ma anche – ed è ciò che ci interessa – effetti extraprocessuali.
Le sentenze pregiudiziali sono vincolanti anche al di fuori del giudizio principale per due ordini di motivi: 1) le sentenze interpretative, pur originando da una controversia determinata, hanno carattere astratto, essendo volte a chiarire l’interpretazione e la portata delle disposizioni UE in questione. L’interpretazione della Corte dispiega i suoi effetti al di là dell’ambito del litigio principale. Pertanto, le sentenze producono effetti erga omnes, per effetto della portata vincolante delle stesse disposizioni interpretate; 2) uno degli obiettivi fondamentali del rinvio pregiudiziale è quello di assicurare l’uniforme applicazione del diritto dell’Unione europea. Tale scopo sarebbe frustrato se le sentenze interpretative della Corte dispiegassero i propri effetti soltanto nella causa a qua.
Ecco, dunque, il motivo per cui tale autorevole orientamento di pensiero è stato fatto proprio anche dai Giudici nazionali, molti dei quali hanno dato concreta prova di adeguarsi ad esso, con la conseguenza che gran parte dei processi penali aventi ad oggetto il reato in trattazione, si sono conclusi con sentenze di senso assolutorio.
Questo studio legale, si è trovato a dover difendere numerosi assistiti accusati del reato di cui all’art. 7 del D.L. 4/2019 e si è potuto registrare l’adeguamento, anche dei giudici frentani, alla decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Pertanto, sulla scorta dell’esperienza direttamente acquisita dal nostro studio legale, si può serenamente sostenere che, nel caso venga contestato al cittadino straniero la violazione in parola, sul presupposto di aver falsamente dichiarato di essere residenti nel territorio italiano da almeno dieci anni, vi è ragionevole motivo di ritenere che il processo si concluderà con sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato.